Legge Rifiuti Zero, workshop presentazione

Nasce anche in Campania il Coordinamento Regionale per la Proposta di legge di iniziativa popolare Rifiuti Zero. Il Coordinamento, composto da decine di Associazioni e Comitati che da anni si battono per una gestione più virtuosa del ciclo dei rifiuti e per la messa al bando di discariche ed inceneritori, avrà il compito di raccogliere le firme necessarie per la presentazione della LIP nella nostra regione. Nell’area nolana iniziativa pubblica di presentazione MERCOLEDI’ 20 marzo alle ore 19.30 presso il Seminario vescovile di Nola, promossa da RiZe Up, AssoCampaniaFelix e le altre associazioni aderenti al Forum Ambiente.

La proposta di legge persegue l’obiettivo di far rientrare il ciclo di produzione-consumo all’interno dei limiti delle risorse del pianeta, tramite l’eliminazione degli sprechi, massimizzando la riduzione dei rifiuti, il riuso dei beni a fine vita e il riciclaggio, e minimizzando lo smaltimento, il recupero di energia e il recupero di materia diverso dal riciclaggio in modo da tendere a zero nell’anno 2020. Tale percorso, sinteticamente indicato come Strategia Rifiuti Zero, include anche la fase della ricerca sul rifiuto ai fini della riprogettazione industriale di beni totalmente decostruibili e riciclabili. Il Coordinamento auspica una mobilitazione di sostegno alla proposta, che rappresenta un approccio propositivo per di risolvere con coscienza dei problemi e perizia delle soluzioni, i colli di bottiglia che affliggono il sistema di smaltimento dei rifiuti in Italia. A tal proposito, il Coordinamento sarà impegnato in una serie di incontri formativi allo scopo di informare e sensibilizzare le comunità rispetto alle novità introdotte dalla LIP.

Gli appuntamenti con i primi 4 workshop di presentazione:

SABATO 9 MARZO – ore 15.30 presso la Sala del Consiglio della Municipalità, Corso Chiaiano 50 – Napoli

MARTEDI’ 12 MARZO – ore 18 presso Strutture sportive Leroy Merlin – Via Berlinguer – Afragola

MARTEDI’ 19 MARZO – ore 18 Hotel Royal-Continental – Napoli

MERCOLEDI’ 20 MARZO – ore 19.30 Salone Lucido, Seminario Vescovile – Nola 

Legge Rifiuti Zero, verso la raccolta firme

Le finalità generali del disegno di Legge di iniziativa popolare Rifiuti Zero:

  1. far rientrare il ciclo produzione-consumo all’interno dei limiti delle risorse del pianeta
  2. rispettare gli indirizzi della Carta di Ottawa, 1986
  3. rafforzare la prevenzione primaria delle malattie attribuibili a inadeguate modalità di gestione dei rifiuti
  4. assicurare l’informazione continua e trasparente alle comunità in materia di ambiente e rifiuti
  5. riduzione della produzione dei rifiuti del 20% al 2020 e del 50% al 2050 rispetto alla produzione del 2000;
  6. recepire ed applicare la Direttiva quadro 2008/98/CE
  7. recepire ed applicare il risultato referendario del giugno 2011 sull’affidamento della gestione dei servizi pubblici locali

Per perseguire le suddette finalità, il progetto di legge punta ad una serie di obiettivi:

  1. Promuovere e incentivare anche economicamente una corretta filiera di trattamento dei materiali post-utilizzo
  2. spostare risorse dallo smaltimento e dall’incenerimento verso la riduzione, il riuso e il riciclo
  3. contrastare il ricorso crescente alle pratiche di smaltimento dei rifiuti distruttive dei materiali
  4. ridurre progressivamente il conferimento in discarica e l’incenerimento
  5. Sancire il principio “chi inquina paga” prevedendo la responsabilità civile e penale  per il reato di danno ambientale
  6. Dettare le norme che regolano l’accesso dei cittadini all’informazione e alla partecipazione in materia di rifiuti

La mensa occupata sfida la crisi

A Napoli la mensa occupata dagli studenti dell’Università Federico II offre un piatto di pasta a 1 euro, compreso il pane. Con un euro in più si porta a tavola una birra o una bibita. La risposta degli studenti alla crisi e alla negazione di un servizio che è parte integrante del diritto allo studio.

Visualizza il video di YouMedia

La storia delle cose

Esperimento riuscito. Mostrare a ragazzi di quarta e quinta elementare degli istituti di Baiano ed Avella, entrambi in provincia di Avellino, l’interessante documentario Story of stuff, realizzato dall’americana Annie Leonard. Il video presenta i problemi legati alla corsa al consumismo iniziata negli Stati Uniti negli anni 50 e che negli ultimi tempi ha visto la sua piena consacrazione anche dalle nostre parti. Un’utile (ed educativa) guida visiva allo scoperta dell’uso – e delle modalità di smaltimento – dei prodotti di consumo. Un ciclo che nella nostra vita ha un enorme impatto, ma in realtà la maggior parte di esso è volutamente nascosto alla nostra vista.

Land grabbing, la corsa alla terra (degli altri)

Ogni tanto la tv italiana ti stupisce favorevolmente. Accade, per esempio, con Why poverty?, lo speciale di Rai Storia dedicato al tema della povertà, in onda sabato 15 dicembre alle ore 23. Durante il programma verrà presentato l’interessante documentario La corsa alla terra. Il film, diretto da Hugo Berkeley e Osvalde Lewat, racconta il drammatico fenomeno del land grabbing, l’accaparramento di terre nei Paesi in via di sviluppo da parte di multinazionali occidentali e nuove potenze economiche emergenti. Tutto realizzato, ovviamente, a spese dell’ambiente e dei contadini più poveri. Al termine del documentario Jacopo Zanchini, vicedirettore del settimanale Internazionale, intervisterà Carlo Petrini, fondatore di Slow Food.

Il tempo di cambiare rotta

Si sta ormai avviando alla chiusura l’Anno mondiale dell’energia sostenibile per tutti. Proclamandolo, il segretario generale delle Nazioni Unite Ban-ki Moon chiedeva a tutti gli stati membri di impegnarsi a fondo per accrescere la consapevolezza dei propri cittadini nei confronti della questione energetica e del suo impatto. Ora una cosa è certa: il concetto di sostenibilità, di durabilità e di compatibilità ecologica è ormai inscindibile da qualunque discorso sul futuro. Non possiamo disegnare il futuro che vogliamo senza tenere presente i limiti e le risorse del pianeta che ci ospita. Ebbene, se a determinati livelli istituzionali internazionali e alla pubblica opinione, sempre più informata e consapevole, questo discorso sembra piuttosto chiaro, evidentemente non tutti sono pronti a imboccare il sentiero di un modello di sviluppo che faccia di questi principi il proprio faro. Mi segnalano alcuni amici sardi che nei prossimi giorni dovrebbe approdare in Regione Sardegna un progetto di un’azienda leader nel settore della raffinazione degli idrocarburi, che chiederà l’autorizzazione a scavare un pozzo esplorativo nel comune di Arborea, in provincia di Oristano, per verificare la presenza di un giacimento di gas naturale. Secondo il primo progetto presentato ad aprile e rimandato in Valutazione di Impatto Ambientale, il cantiere del pozzo esplorativo (che dal primo progetto sarebbe profondo 3.000 metri) avrebbe un perimetro grande quanto un campo da calcio; si troverebbe a 400 metri dalle abitazioni più vicine, a 600 dal campeggio comunale e a poco più di 700 dalle spiagge locali. Inoltre il cantiere si collocherebbe a meno di 180 metri dallo stagno di S’Ena Arrubia, Sito di Interesse Comunitario (SIC), Zona a Protezione Speciale (ZPS), inserito nella Convenzione Internazionale di Ramsar fin dagli anni Settanta. Un paradiso del birdwatching grazie alle 65 specie animali che ospita (almeno 6 di queste a rischio di estinzione oltre a una delle più folte colonie di fenicotteri rosa del Mediterraneo) e gestito da una cooperativa di pescatori autorizzata a catturare spigole, anguille e muggini.
A parte la questione legata all’habitat a rischio, il ragionamento che mi pare più stringente è che Arborea è un piccolo paese con un’economia tutto sommato solida ed estremamente radicata alle peculiarità del territorio. Un paese a forte vocazione agricola e di allevamento, con due cooperative lattiero-casearie e ortofrutticole che contano 20.000 bovine, riuniscono centinaia di soci e danno lavoro ad altrettante persone distribuendo i propri prodotti per il 90 per cento in Sardegna. Insomma, un comparto zootecnico considerato un’eccellenza nazionale incastonato in un territorio tutt’altro che depresso. Perché intervenire in un contesto del genere con una industria pesante e impattante come quella estrattiva? Per inseguire quale progresso, in nome di quale futuribile e prospero orizzonte? È questa la questione centrale, prima ancora che la discussione sulle conseguenze delle trivellazioni. Finché il nodo essenzialmente e profondamente politico su quale direzione vogliamo dare al nostro procedere non verrà affrontato fino in fondo non possiamo uscire dall’impasse.
Che senso può avere stravolgere un’economia agricola che funziona, in una regione che è un paradiso del turismo, della cultura e della gastronomia per inseguire un modello industriale che ha già mostrato le sue falle in mezza Italia? Sembra di intravedere un parallelismo con la parabola dell’Ilva a Taranto. L’industria pesante presentata come strumento di emancipazione, come simbolo del successo e della prospettiva di benessere di un territorio e che poco tempo dopo rischia di trasformarsi nel suo nemico più temibile.
Oltretutto gli esempi in tal senso non mancano: basti pensare alla Basilicata e ai danni fatti dall’industria estrattiva nella Val d’Agri e nella Valle del Sauro, danni assolutamente non compensati dai presunti benefici offerti ai cittadini. Ma ribadisco, la questione non è tanto se le compensazioni sotto forma di sconti sulla benzina o sulle bollette siano adeguate o meno, la questione vera è che probabilmente l’?industria estrattiva non è la risposta che serve per uscire da quella che è una crisi del nostro modello di sviluppo. Ci servono nuovi paradigmi che non contemplino più un percorso industriale da secondo dopoguerra. Si sente spesso dire che il petrolio dell’Italia sono la cultura e il paesaggio, e allora non si capisce come mai quando i governi delineano i Ddl Sviluppo ci si trova a fare i conti con liberalizzazioni sui sondaggi petroliferi o sull’industria energetica convenzionale, che facilitano l’attribuzione di permessi di ricerca e concessioni di estrazione, accorciando le procedure burocratiche e la tempistica per la messa in produzione.
È giunto il tempo di cambiare rotta, non possiamo pensare di inseguire il progresso scavando pozzi di petrolio in aree protette o turistiche, di continuare a distruggere il tessuto agricolo e zootecnico che rappresenta l’eccellenza italiana nel mondo in nome di un progresso che inquina, ammala e impoverisce. Non possiamo perdere i nostri contadini e i nostri artigiani se non vogliamo perdere la nostra storia.
di Carlo Petrini – La Repubblica 3.12.2012